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Dammi mille baci

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Poppy Litcheld ha solo nove anni quando si lancia nell’avventura più grande della sua vita, collezionare mille baci capaci di farle scoppiare il cuore. Il suo vicino di casa e migliore amico è il perfetto compagno per quest’avventura. Poppy ha tutto quello che potrebbe desiderare: gioia, risate, baci da togliere il fiato, e il vero amore. Ma crescere è difficile e l’amore può non essere in grado di superare tutti gli ostacoli… Quando il diciassettenne Rune Kristiansen torna nella tranquilla cittadina della Georgia in cui ha abitato da bambino, ha in mente solo una cosa. Scoprire il motivo che ha spinto la sua inseparabile amica d’infanzia a escluderlo dalla sua vita senza una parola di spiegazione. Ma il suo cuore potrebbe rompersi di nuovo… Un bacio dura un attimo. Ma mille baci possono durare un’eternità.

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Descrizione

Rune

Ci sono stati esattamente quattro momenti che hanno segnato la mia vita. Questo è stato il primo. Blossom Grove, Georgia Stati Uniti d’America Dodici anni fa Età: cinque anni «Jeg vil dra! Nå! Jeg vil reise hjem igjen!» Gridai più forte che potevo, dicendo a mia madre che volevo andare via, ora! Volevo tornare a casa! «Non torneremo a casa, Rune. E non partiamo.

Questa è casa nostra adesso» rispose in inglese. Si accovacciò e mi guardò dritto negli occhi. «Rune» mi disse dolcemente, «so che non volevi andartene da Oslo, ma tuo padre ha un nuovo lavoro qui in Georgia». La sua mano scivolò su e giù lungo il mio braccio, ma non riuscì a farmi sentire meglio, nemmeno un po’. Non volevo stare in questo posto, in America. Volevo tornare a casa. «Slutt å snakke engelsk!» Risposi di scatto. Odiavo parlare inglese. Da quando eravamo partiti per l’America dalla Norvegia, mamma e papà volevano parlare con me esclusivamente in inglese. Dicevano che dovevo fare pratica. Io non volevo! Mia madre si alzò e sollevò una scatola da terra. «Siamo in America, Rune.

Qui si parla inglese. Parli inglese sin da quando hai imparato il norvegese. È ora che tu lo usi». Non mi smossi, guardando di traverso mia madre mentre mi aggirava ed entrava in casa. Poi mi guardai intorno, esaminando la piccola strada dove vivevamo ora. C’erano otto case. Erano tutte grandi, ma apparivano una diversa dall’altra. La nostra era dipinta di rosso, con le finestre bianche e un ampio portico. La mia stanza era grande e si trovava al piano terra.

Questo credevo davvero che fosse fico. O qualcosa del genere. Non avevo mai dormito di sotto prima, a Oslo la mia stanza era al piano di sopra. Guardai le case. Erano tutte dipinte con colori brillanti: azzurri, gialli, rosa… Poi guardai la casa accanto alla mia. Era proprio la porta accanto, dividevamo un fazzoletto di erba. Entrambe le case erano grandi, e anche i nostri cortili, ma non esisteva un recinto o un muro tra esse. Se avessi voluto, avrei potuto correre nel loro cortile e niente mi avrebbe fermato. La casa era di un bianco brillante, circondata da un porticato.

Avevano delle sedie a dondolo e una grande altalena sul davanti. Gli infissi delle finestre erano dipinti di nero e c’era una finestra di fronte alla mia camera da letto. Proprio di fronte! La cosa non mi piaceva. Non mi piaceva che potessi spiare nella loro stanza da letto e loro nella mia. C’era una pietra a terra. Le diedi un calcio, guardandola rotolare giù per la strada. Mi girai per seguire mia mamma, ma poi sentii un rumore. Veniva dalla casa accanto alla nostra. Guardai verso la loro porta d’ingresso, ma non vidi nessuno uscire. Stavo salendo gli scalini del mio portico quando vidi qualcosa muoversi sul lato della casa, dalla finestra della stanza da letto della casa accanto, quella di fronte alla mia.

La mia mano si bloccò sulla ringhiera e vidi una bambina, con un vestito azzurro, che stava scavalcando la finestra. Saltò giù sull’erba e si pulì le mani sulle cosce.

Mi accigliai, con le sopracciglia curvate verso il basso, mentre aspettavo che lei alzasse la testa. Aveva dei capelli castani, raccolti in alto sulla testa come il nido di un uccello e di lato portava un grosso fiocco bianco.

Quando guardò in su, guardò dritto verso di me. Poi sorrise. Mi fece un sorriso enorme. Agitò la mano per salutarmi, veloce, poi di corsa si fermò davanti a me.

Allungò la mano. «Ciao, mi chiamo Poppy Litchfield, ho cinque anni e vivo alla porta accanto».

Guardai la bambina. Aveva un accento strano. Faceva assumere alle parole in inglese un suono diverso da quello che avevo imparato in Norvegia. La bambina, Poppy, aveva una macchia di fango sul viso e stivali da pioggia di un giallo brillante, con un grosso pallone rosso disegnato sul lato.

Aveva un aspetto strano.

La percorsi con lo sguardo dal basso verso l’alto e le fissai la mano. La teneva ancora protesa verso di me. Non sapevo cosa fare. Non sapevo cosa volesse.

Poppy sospirò. Scuotendo il capo, si allungò a prendere la mia mano e la spinse nella sua. Le agitò insieme su e giù due volte e disse: «Una stretta di mano. Mia nonna dice che si deve stringere la mano alla gente nuova che si incontra». Indicò le nostre mani. «Questa era una stretta di mano. E sono stata gentile perché non ti conosco».

Non dissi nulla, per qualche strana ragione la voce non mi uscì. Guardando in basso, capii che era perché le nostre mani erano ancora unite.

Aveva del fango anche sulle mani. A dire il vero, aveva fango dappertutto.

«Come ti chiami?» Chiese Poppy. Aveva la testa inclinata di lato. Un ramoscello le era rimasto impigliato nei capelli. «Ehi» mi richiamò, dando uno strattone alle nostre mani. «Ti ho chiesto il tuo nome».

Mi schiarii la voce. «Mi chiamo Rune, Rune Erik Kristiansen».

Poppy fece una smorfia, le sue grosse labbra rosa protese all’infuori comicamente. «Parli proprio strano» si lasciò sfuggire.

Ritrassi la mia mano di scatto.

«Nei det gjør jeg ikke!» Scattai. Il suo viso si imbronciò ancora di più.

«Cosa hai detto?» Chiese Poppy, mentre io mi giravo per rientrare in casa. Non volevo più parlarle.

Arrabbiato, mi girai indietro. «Ho detto: ‘No, non è vero!’. Stavo parlando norvegese!» Spiegai, in inglese questa volta. Gli occhi verdi di Poppy si spalancarono.

Si avvicinò con dei piccoli passi, sempre più vicina, e chiese: «Norvegese? Come i vichinghi? Mia nonna mi ha letto un libro sui vichinghi. Diceva che venivano dalla Norvegia». I suoi occhi si fecero ancora più grandi. «Rune, tu sei un vichingo?» La sua voce era diventata tutta uno squittio. Mi fece sentire bene. Spinsi il petto in fuori. Mio padre diceva sempre che ero un vichingo, come tutti gli uomini della mia famiglia. Eravamo dei vichinghi grandi e forti.

«Ja», dissi. «Siamo veri vichinghi della Norvegia».

Sul viso di Poppy si aprì un enorme sorriso, e una sonora risatina da bambina esplose dalla sua bocca. Sollevò la mano e mi toccò i capelli. «Ecco perché hai lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri come cristalli. Perché sei un vichingo. All’inizio pensavo somigliassi a una bambina…»

«Non sono una bambina!» La interruppi, ma a Poppy sembrava non importare.

Passai la mano tra i miei lunghi capelli. Mi arrivavano fino alle spalle. Tutti i ragazzi a Oslo avevano i capelli così.

«Ma ora so che è perché sei un vichingo vero. Come Thor. Anche lui aveva lunghi capelli biondi e gli occhi azzurri! Sei proprio uguale a Thor!»

«Ja» assentii. «Come Thor. E lui è il dio più forte di tutti».

Poppy annuì, e mi mise le mani sulle spalle. Si era fatta tutta seria in viso e la sua voce si era ridotta a un sospiro. «Rune, questo non lo dico mai a nessuno, ma io parto per delle avventure».

Feci una smorfia confusa. Non capivo. Poppy si avvicinò ancora e mi guardò negli occhi. Strinse forte le mie braccia. Piegò la testa da un lato. Si guardò bene intorno, poi si sporse verso di me per spiegare. «In genere non porto persone con me nei miei viaggi, ma tu sei un vichingo, e tutti sappiamo che i vichinghi crescono grandi e forti, e sono davvero tanto bravi nelle avventure e le esplorazioni, nelle lunghe camminate e a catturare i cattivi… E tutto questo genere di cose!»

Ero ancora confuso, ma poi Poppy fece qualche passo indietro e mi porse nuovamente la mano. «Rune» disse, con voce seria e salda, «tu vivi proprio alla porta accanto alla mia e sei un vichingo e io sono innamorata dei vichinghi. Credo che dovremmo essere migliori amici».

«Migliori amici?» Chiesi.

Poppy annuì e spinse la mano ancora di più verso di me. Lentamente allungai la mia, afferrai la sua mano e le diedi due strette, come mi aveva mostrato.

Una stretta di mano.

«Quindi adesso siamo migliori amici?» Chiesi, quando Poppy ritirò la sua.

«Sì!» Rispose con entusiasmo. «Poppy e Rune». Si portò un dito al mento e guardò in alto. Nuovamente spinse le labbra in fuori, come se stesse pensando intensamente. «Suona bene, non trovi? ‘Poppy e Rune, migliori amici all’infinito!’»

Annuii, perché suonava davvero bene. Poppy mise la mano nella mia. «Mostrami la tua stanza! Voglio raccontarti la prossima avventura per cui partiremo». Iniziò a trascinarmi avanti e corremmo in casa.

Quando aprimmo la porta della mia camera, Poppy si precipitò direttamente verso la mia finestra. «Questa è la stanza proprio di fronte alla mia!»

Feci di sì col capo e lei squittì, correndo verso di me e prendendo ancora una volta la mia mano nelle sue. «Rune!» Esclamò eccitata, «possiamo parlare di notte, e fare dei walkie-talkie con lattine e corde. Possiamo sussurrarci i nostri segreti mentre tutti gli altri stanno dormendo, e possiamo fare dei piani, e giocare, e…»

Poppy continuava a parlare, ma non mi dispiaceva. Mi piaceva il suono della sua voce. Mi piaceva la sua risata e mi piaceva il grosso fiocco bianco che aveva in testa.

Forse la Georgia non sarebbe stata poi così male dopo tutto, pensai, non se Poppy Litchfield fosse diventata la mia migliore amica.

E Poppy lo diventò, da quel giorno in poi.

Poppy e Rune.

Migliori amici all’infinito.

O così credevo.

Strano come cambiano le cose.

 

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

28 giugno 2018

ISBN

978-8885603127

Lingua

Italiano

Formato

Copertina Flessibile

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