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La fata dei ghiacci

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Malo pensava di trascorrere una spensierata vacanza sugli sci, ma il giorno stesso del suo arrivo in montagna si scatena una tempesta di neve. Una strana tempesta di neve. E mentre cerca di non perdersi, il giovane finisce per scontrarsi con Lina ragazza bellissima e misteriosa, che vive in una casa di ghiaccio. Il suo nome? La Fata dei Ghiacci. La sua missione? Accogliere i viaggiatori che si sono smarriti nel Regno delle Ombre d’inverno. Così Malo torna per la terza volta nel Regno delle Ombre, un luogo che ama molto, almeno quanto gli fa paura. E se questa esperienza non fosse frutto del caso, ma piuttosto un’occasione per affrontare le sue paure? Con l’aiuto della Fata dei Ghiacci, infatti, dovrà vivere molte avventure e trovare così la sua strada. Età di lettura: da 10 anni.

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Descrizione

1

IL GIORNO BIANCO

 

Quel giorno Malo si sentiva il più felice degli adolescenti. Aveva appena ricevuto un bel voto a scuola? Era stato al cinema con gli amici? Aveva segnato un goal nel campionato di calcio interscolastico?

No, niente di tutto questo. Appollaiato sullo snowboard, in compagnia dell’istruttore, scendeva a tutta velocità lungo le piste innevate delle Cime Bianche. Si trovava in una delle numerose stazioni sciistiche delle Alpi e, una volta tanto, il mondo reale gli sembrava magico.

“Uauhhhhhh! Che spasso!” esclamò facendo degli zigzag nella neve fresca, lasciandosi inebriare dal piacere della discesa.

Di fronte a lui si profilavano alte montagne ricoperte di zucchero a velo, una pista punteggiata di sciatori, una foresta di abeti e un cielo blu inondato di sole.

Insomma, uno scenario da cartolina per vacanze di sogno.

“Forza, Malo, scendiamo giù e risaliamo per fare uno spuntino sulla neve!”

Dopo aver effettuato la discesa, i due sciatori fecero provviste presso il chiosco ai piedi degli impianti di risalita, poi ripresero la seggiovia per tornare in vetta alle Cime Bianche. Deviando un poco dalla pista, lungo il margine di un sottobosco si sganciarono gli snowboard e si appoggiarono a un abete per rifocillarsi.

“Uno dei più bei momenti della giornata!” esclamò Malo, divorando il suo panino: prosciutto di montagna, pomodori, insalata, cetriolini, formaggio.

Per dissetarsi bevve un bicchiere colmo fino all’orlo. L’acqua era talmente fredda che gli parve di ingoiare dei ghiaccioli.

“Ben detto, ragazzo mio!” gli rispose l’istruttore. “Niente di meglio che riempirsi la pancia dopo uno sforzo… Te la stai cavando molto bene, sono fiero di te!”

E inghiottì a sua volta un enorme doppio hot dog condito con senape.

“Sì, è proprio il massimo!” ribadì Malo alzando le braccia al cielo, con un largo sorriso sulle labbra.

Insomma, tutto stava andando per il meglio.Ma in montagna, si sa, possono determinarsi in fretta le circostanze più imprevedibili. Tipo un repentino mutamento delle condizioni climatiche. Nel giro di un’ora si può passare da un clima mite e soleggiato a una tempesta improvvisa, degna delle regioni polari. E quando le nuvole invadono il cielo e formano un velo opaco sopra la testa, non si può mai sapere quanto possa durare il fenomeno e nemmeno quale cataclisma potrebbe scatenare. A volte, la nebbia scende così rapidamente che la visibilità si riduce a poco più di un metro. Si tratta di un’incertezza climatica dal nome molto poetico, quasi per attenuarne gli effetti potenzialmente devastanti: “il giorno bianco”.

Il giorno bianco è uno strano fenomeno. Quando si verifica, tutto diventa uniforme e chi cade in quella trappola ha l’impressione di rimanere prigioniero dentro una coltre di nebbia inestricabile. Ed è esattamente quanto accadde quel giorno a Malo e all’istruttore. In pochi minuti, il cielo si coprì di un velo bianco che si posò a poco a poco sulle cime.

L’istruttore scrutò l’orizzonte con occhio inquieto e annunciò:

“Non c’è nulla da fare! Quelle nuvole non promettono niente di buono. Il tempo volge al peggio. Ridiscendiamo prima di trovarci bloccati.”

Misero quindi fine alla pausa, raccolsero gli avanzi della colazione e si riagganciarono in tutta fretta gli snowboard.

“Per non perderci costeggiamo il bordo della pista facendoci guidare dai paletti che la delimitano. Malo, seguimi e andrà tutto bene, ok?”

“Farò del mio meglio, anche se ci vedo sempre meno!”

Cercarono di costeggiare la pista ormai invisibile, ma la nebbia era già calata su di loro come un’aquila sulla preda, mentre interi banchi di bruma avevano inghiottito la foresta.

Malo scendeva dietro l’istruttore facendo scivolare la sua tavola sulla neve fresca. Per i primi duecento metri non ci furono difficoltà e procedettero di paletto in paletto. L’uomo, sempre più preoccupato, si voltava di continuo per assicurarsi che l’allievo lo seguisse.

“Da questa parte, Malo!” gridò, vedendo che l’adolescente si stava portando un po’ troppo a sinistra.

Ma Malo, ormai, lo aveva perso di vista, e l’istruttore si stava spolmonando a vuoto. Malo non riusciva più a udirlo.

Abbandonato a se stesso, il ragazzo non sapeva in che direzione andare. E bastarono cinquanta metri per isolarlo del tutto. Comprendendo il proprio errore, Malo esitò qualche secondo, poi si lanciò sulla destra. Non l’avesse mai fatto! In meno di un minuto la trappola del giorno bianco si richiuse su di lui.

Malo si lasciò scivolare sulla neve alla cieca ancora per qualche minuto. Dove andare? Come raggiungere l’istruttore? Non ne aveva la minima idea…

“Ehiiiiiii!” gridò, fermandosi in mezzo al nulla.

L’eco della sua voce gli risuonò nelle orecchie. E si sentì disperatamente solo. Un fantasma sperduto nel cuore della montagna, con il vento, il freddo e la neve come unici compagni.

Tuttavia non provò paura, non subito. Continuando ad avanzare, fidandosi dell’istinto, aveva la possibilità di uscire da lì. Bastava, pensò, seguire la pendenza. In quel modo, prima o poi, avrebbe finito per ritrovarsi a valle.

Ma i minuti passavano lenti, ogni punto di riferimento era scomparso, e ben presto, a far da sfondo, non rimase altro che la neve fresca. In più, colmo della sfortuna, si levò il vento, che iniziò a soffiare a raffiche. Malo si fermò e, per proteggersi dalla morsa stringente del freddo, sollevò il bavero del suo anorak e si coprì il viso. Non poteva far altro che procedere.

Errore fatale! Finì senz’accorgersene su un ponte di neve e sentì lo snowboard prima cedergli sotto i piedi, poi affondare lentamente. Troppo tardi per reagire! Il suo corpo passò attraverso un sottile strato nevoso che ricopriva l’ingresso di un crepaccio e cominciò a scendere lungo un interminabile scivolo di ghiaccio.

2

ALLA SETTIMANA BIANCA

 

Tre mesi prima, ben lontano dall’immaginare che si sarebbe ritrovato nel mezzo di una tempesta, Malo non stava nella pelle all’idea di partire per la settimana bianca. Quell’anno, per il suo tredicesimo compleanno, i suoi genitori avevano deciso di regalargli una settimana in montagna, durante le vacanze di febbraio.

Che bel regalo! Si stupì il ragazzo. Che cosa nasconderà?

La madre aveva orrore della neve e delle stazioni sciistiche e alle piste gelate preferiva di gran lunga i negozi di moda della capitale. Il padre, che non metteva gli sci ai piedi da una decina d’anni, si permetteva solo brevi periodi di riposo con gli amici del Club dei portatori di cravatte.

Per cui Malo aveva i suoi buoni motivi per diffidare della decisione dei genitori. Il fatto è che si erano dimenticati di precisargli – e glielo avrebbero confessato solo in seguito – che non avrebbe soggiornato in una stazione sciistica in loro compagnia o in un centro per ragazzi della sua età, ma che sarebbe stato ospite della sorella maggiore del padre. E che avrebbe trascorso la settimana bianca in casa di lei, da solo.

Quando aveva appreso la notizia, Malo era rimasto a bocca aperta.

“Da zia Orticaria?”

“Sì. Non sei contento?” chiese la madre.

“È lei che lo ha proposto” aggiunse il padre con voce allegra.

Malo non sapeva che cosa rispondere. Aveva visto zia Orticaria solo rare volte, in occasione di pranzi di famiglia a Pasqua o a Natale, ma la ricordava perfettamente. Era una specie di vamp dalla bellezza glaciale, che lo affascinava e lo terrorizzava al tempo stesso. Essendo stranamente provvista di peli fastidiosissimi attorno al mento, che tentava di mascherare come meglio poteva, finiva inevitabilmente per pungere chiunque l’abbracciasse. Ecco perché l’avevano soprannominata Orticaria.

Quella donna intimidente e lunatica poteva un giorno risultare simpatica e il giorno dopo intrattabile e fredda. Quel genere di persone che davanti agli altri vi fanno un sacco di sorrisi e poi, quando non c’è più nessuno, vi tirano le orecchie e vi pizzicano a sangue o vi puniscono per una sciocchezza che magari non avete neppure commesso. Insomma, la zia era sempre parsa a Malo un’orribile strega.

“Non potrei restare con voi?” accennò Malo, pur di sfuggire alla zia.

Entusiasta, da principio, all’idea di partire per la settimana bianca, ora, davanti alla prospettiva di una vacanza da trascorrere in quel modo, non era più tanto sicuro di averne voglia. Al confronto, una settimana di compiti a casa gli sembrava una prospettiva molto più allettante.

“Purtroppo, caro” tentò di ammansirlo la madre passandogli una mano tra i capelli, “noi non abbiamo la tua fortuna, non siamo in vacanza come te.”

Malo era stanco di sentire sempre lo stesso discorso. La madre, odontotecnica, aveva molto lavoro. Ma i suoi impegni non erano nulla rispetto a quelli del padre, avvocato finanziario che, oltre al tempo passato in ufficio, dedicava, una volta a casa, lunghe serate e interi weekend a consultare dossier spessi come elenchi telefonici.

“Ma andare da zia Orticaria NON VUOL DIRE ANDARE IN VACANZA!”

“Tranquillo” lo rassicurò il padre prendendolo per le spalle. “Mia sorella è una zitella non sempre divertente, lo ammetto, ma dovrai sopportarla solo poche ore al giorno, a colazione e a cena. Il resto del tempo avrai moltissimo da fare.”

Proprio così. Il pasto con zia Orticaria sarebbe sicuramente stato il momento più sgradevole della giornata. A memoria di Malo, lei, per mantenere, a suo dire, una linea giovanile, si nutriva solo di cavoli e tisane.

Tisana a colazione e cavolo a cena. Zuppa di cavolo. O cavolo gratinato. O insalata di cavolo. O cavolo farcito. A Malo pareva già di sentire quell’odore nauseabondo che inondava tutta la casa. Un fumo acre e stordente che già gli rivoltava lo stomaco. Era più di quanto potesse tollerare. Il semplice fatto di ricordare un pasto in compagnia della zia equivaleva a un supplizio.

“Tutto andrà bene, vedrai” ritenne opportuno aggiungere la madre. “Non dimenticare che ti abbiamo iscritto a un corso di snowboard. Sarai impegnato ogni giorno dalle 9 alle 16. Ho sentito l’istruttore al telefono, mi è sembrato un tipo veramente simpatico!”

“Inoltre ti farà bene partire senza di noi” concluse il padre. “E poi, tua zia ormai lo sa e ti aspetta con impazienza.”

“E va bene, sarà divertente!” si rassegnò a dire Malo, cercando di convincersi che la vacanza sarebbe stata memorabile.

Il giorno stabilito, prese dunque il treno per la montagna. I genitori lo accompagnarono fino al binario e, prima che salisse in vettura, lo abbracciarono teneramente.

“Buona vacanza, caro” gli mormorò la madre stringendolo un’ultima volta tra le braccia.

E gli porse un sacchetto con un panino, qualche dolcetto e una bibita. Malo, dal canto suo, per rendere piacevole il viaggio, faceva affidamento sul lettore MP3.

“Quando tornerai, sarai un uomo!” non poté trattenersi dall’enunciare il padre, sempre affezionato alle sue frasi fatte.

E doveva anche essere un tantino nervoso, poiché non smetteva di tormentare la cravatta, un modello di seta pura prodotto da Dior, color ruggine.

Il ragazzo sospirò, poi raggiunse lo scompartimento senza dire nulla. Sistemò la valigia e si sedette. Poco dopo il treno si mosse. Attraverso il vetro, Malo rivolse con un cenno della mano un ultimo saluto ai genitori. Dopodiché si ritrovò solo.

Il viaggio gli parve lungo e monotono. Malgrado la prospettiva delle imminenti discese per le piste innevate, Malo provava una certa apprensione per quanto lo attendeva. Per ingannare la noia, mangiò il panino e bevve la bibita. Poi, dopo aver ascoltato alcune canzoni, constatò che gli rimanevano ancora due ore di viaggio. Chiuse gli occhi e pensò alla zia, a eventuali fatti sgradevoli che potevano esserle capitati.

Forse si è rotta una gamba… o si è presa l’influenza? Oppure una valanga si è abbattuta sulla casa? Non si sa mai a quali guai si possa andare incontro in quel villaggio maledetto… A quest’ora sarà sicuramente all’ospedale… Così me ne andrò in albergo e mangerò al ristorante tutte le sere…

Ma evidentemente conosceva male zia Orticaria: nemmeno un’epidemia di colera, una rivoluzione o un terremoto sarebbero riusciti a scalfirla.

Malo lo capì subito, al momento dell’arrivo del treno in stazione, quando la vide ritta sul marciapiede. Zia Orticaria se ne stava tutta impettita e altera, imbacuccata nel suo cappotto di pelliccia di coniglio. Attorno a lei turbinavano fiocchi grandi come palline da pingpong, che poi si depositavano al suolo senza osare toccarla. Persino la neve sembrava volerla evitare.

Su un cartello erano scritte queste poche parole, di un’ironia agghiacciante:

BENVENUTI NEL MONDO DEGLI SPORT INVERNALI!

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

17 settembre 2015

ISBN

978-8845279706

Lingua

Italiano

Formato

Copertina Rigida

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