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Per noi sarà sempre estate. The summer trilogy (Vol. 3)

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Sono passati due anni da quando Conrad ha detto a Belly di mettersi con suo fratello. Da allora, lei e Jeremiah sono stati inseparabili. Ma la loro relazione non è felice come dovrebbe. Infatti, quando Jeremiah commette il peggiore errore che un ragazzo può commettere, Belly è costretta a chiedersi se quello sia davvero il grande amore. Davvero Jeremiah è li ragazzo giusto? Davvero lei ha smesso di amare Conrad?

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Descrizione


Capitolo 1

Quando arriva la settimana degli esami finali e stai studiando da cinque ore di fila, ci vogliono tre cose per superare la notte: la granita più grossa che riesci a trovare: metà alla ciliegia e l’altra metà alla Coca, i pantaloni del pigiama lavato così tante volte che ormai sono sottili come un foglio di carta e, infine, delle pause ballo. Molte pause ballo. Quando gli occhi cominciano a chiudersi e desideri solo il letto, le pause ballo ti aiuteranno ad andare avanti. Erano le quattro del mattino, e io stavo studiando per l’esame finale del mio primo anno alla Finch University.

Ero accampata nella biblioteca del mio dormitorio con la mia nuova amica del cuore, Anika Johnson, e la mia vecchia amica del cuore, Taylor Jewel. Le vacanze estive erano vicine, le stavo già pregustando. Mancavano solamente cinque giorni alla fine. Era da aprile che facevo il conto alla rovescia. «Interrogami» mi ordinò Taylor, con una voce stridula. Aprii il mio taccuino su una pagina a caso. «Dimmi la differenza tra anima e animus.» Taylor si morse il labbro inferiore. «Dammi un suggerimento.» «Mmm… Pensa al Latino» dissi io. «Ma io non ho mai fatto Latino! Ci sarà il Latino in questo esame?» «No, stavo solo cercando di darti un suggerimento.

Perché in Latino i nomi maschili finiscono in -us e quelli femminili finiscono in -a, e anima è un perfetto esempio di nome femminile, mentre animus lo è di un nome maschile. Capito?» Taylor emise un grosso sospiro. «No. E probabilmente finirò per essere bocciata.»

Sollevando lo sguardo dal suo taccuino, Anika fece: «Forse se tu la smettessi di scrivere sms e iniziassi a studiare, non succederebbe». Taylor le lanciò un’occhiataccia. «Sto aiutando la mia compagna di dormitorio a organizzare la colazione di fine anno, perciò stanotte devo essere reperibile.» «Reperibile?» Anika sembrava divertita. «Come un dottore?» «Sì, come un dottore» rispose in modo brusco Taylor. «Dunque, che ci sarà a colazione? Cialde o frittelle?»

«French toast, se permetti…»

Dovevamo dare tutte e tre l’esame di psicologia; io e Taylor l’indomani, mentre Anika il giorno successivo. Anika era la mia migliore amica a scuola, a parte Taylor. Considerando quanto Taylor fosse competitiva, quella con Anika era un’amicizia di cui era alquanto gelosa, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

La mia amicizia con Anika era diversa da quella con Taylor. Anika era rilassata e ti metteva a tuo agio.

Non era subito pronta a giudicarti. E, soprattutto, mi rendeva libera di essere diversa. Lei non mi conosceva da una vita, dunque non aveva aspettative o preconcetti. E non era come gli altri amici che avevo a casa. Lei era di New York, i suoi genitori erano rispettivamente un musicista jazz e una scrittrice.

Un paio d’ore dopo, l’alba stava gettando una luce bluastra nella stanza; Taylor aveva la testa china, mentre Anika fissava il vuoto come uno zombie. Feci due palle di carta e le lanciai alle mie amiche. «Pausa ballo» canticchiai, mentre premevo il tasto di avvio sul mio computer e iniziavo a ballare sulla sedia. Anika mi fulminò con lo sguardo.

«Perché sei così allegra?» «Perché» risposi, battendo le mani «tra poche ore sarà tutto finito.» Il mio esame sarebbe iniziato all’una del pomeriggio, perciò avevo in programma di tornare nella mia stanza, dormire un paio d’ore e poi sfruttare il tempo rimasto per studiare un altro poco.

Dormii più del previsto, ma riuscii comunque a studiare un’altra ora. Non avevo tempo per la colazione in mensa, perciò bevvi soltanto una Coca presa al distributore automatico.

Il test era difficile come previsto, ma io ero abbastanza sicura di aver preso almeno una B. Taylor invece era abbastanza sicura di non essere stata bocciata, il che era un bene, ma eravamo comunque troppo stanche per festeggiare, così ci salutammo e prendemmo ognuna la propria strada.

Io tornai in camera mia, pronta a dormire per lo meno fino all’ora di cena. Quando aprii la porta c’era Jeremiah, addormentato nel mio letto. Quando dormiva sembrava un bambino, nonostante la barba. Era sdraiato sopra la trapunta, con i piedi oltre il bordo del letto, il mio orso bianco di peluche stretto al petto.

Mi tolsi le scarpe e salii pian piano sul mio letto singolo extra-lungo, mettendomi accanto a lui. Si svegliò, aprì gli occhi e disse: «Ciao».

«Ciao» risposi.

«Com’è andata?»

«Piuttosto bene.»

«Bene.» Jeremiah lasciò andare Junior Mint e mi strinse a sé. «Ti ho portato l’altra metà del tramezzino che ho mangiato a pranzo.»

«Quanto sei dolce» dissi, premendo la testa sul suo petto.

Lui mi baciò i capelli. «Non voglio che la mia ragazza salti i pasti.»

«Ho saltato solo la colazione.» E poi, ripensandoci, aggiunsi: «E il pranzo».

«Lo vuoi ora, il tramezzino? Ce l’ho nello zaino.»

Adesso che ci pensavo, avevo fame, ma anche sonno. «Magari lo mangio dopo» risposi, chiudendo gli occhi.

Jeremiah si riaddormentò e mi addormentai anch’io. Quando mi svegliai, fuori era buio, Junior Mint era per terra e Jeremiah mi stava abbracciando. Era ancora assopito.

Avevamo cominciato a frequentarci subito prima che io iniziassi l’ultimo anno delle superiori. “Frequentarci” non era la parola giusta. Stavamo assieme e basta. Era successo tutto con una tale facilità, e talmente in fretta, che ci sembrò che tra noi le cose fossero sempre andate così. Un minuto prima eravamo amici, quello dopo ci stavamo baciando, e poi, senza accorgermene, mi ritrovai a iscrivermi alla sua stessa università. Dicevo a me stessa e a tutti gli altri (compreso lui, ma soprattutto mia madre) che quella era una buona scuola, che era solo a poche ore di distanza da casa e che aveva senso iscriversi là, così mi sarei lasciata aperta molte possibilità. Tutte queste cose erano vere. La più vera di tutte, però, era che volevo semplicemente stare accanto a Jeremiah. Lo volevo per tutte le stagioni, non solo per l’estate.

E adesso eravamo distesi uno accanto all’altra nella mia camera universitaria. Lui era al secondo anno, io stavo finendo il primo. Era pazzesco come il rapporto tra noi fosse arrivato a quel punto. Ci conoscevamo da una vita eppure, per certi versi, la nostra storia sembrava una sorpresa. Per altri ci appariva inevitabile.

 

Capitolo 2

 

L’associazione studentesca di Jeremiah dava una festa di fine anno. In meno di una settimana saremmo tornati tutti a casa per l’estate per ripresentarci alla Finch soltanto alla fine di agosto. L’estate era sempre stato il mio periodo dell’anno preferito, ma ora che stavo finalmente andando a casa ero un po’ combattuta. Ogni mattina facevo colazione con Jeremiah alla mensa, alla sera facevo il bucato con lui alla sua residenza. Lui era bravo a ripiegare le magliette.

Quest’estate, Jeremiah avrebbe di nuovo fatto un tirocinio nell’azienda di suo padre, mentre io avrei fatto la cameriera in un ristorante a conduzione familiare che si chiamava Behrs, proprio come l’estate prima. Avevamo in progetto di vederci alla casa al mare di Cousins Beach il più spesso possibile. L’estate passata non ci eravamo riusciti neppure una volta. Eravamo stati entrambi troppo impegnati a lavorare. Io avevo fatto tutti i turni che potevo, per mettere da parte i soldi per l’università. Nello stesso tempo, però, mi ero sentita un po’ vuota, perché quella era la prima estate che non trascorrevo a Cousins Beach.

Fuori c’erano alcune lucciole. Si stava facendo buio e non faceva particolarmente caldo. Io avevo i tacchi, una scelta stupida, visto che all’ultimo minuto avevo deciso di andare a piedi invece di prendere l’autobus. E solo perché avevo pensato che per un po’ non avrei avuto altre occasioni di passeggiare nel campus in una serata come quella.

Avevo proposto ad Anika e alla nostra amica Shay di venire con me, ma Anika aveva una festa organizzata dal suo gruppo di danza, e Shay aveva già terminato gli esami finali ed era tornata a casa sua, in Texas. L’associazione di Taylor aveva organizzato un cocktail party, perciò non sarebbe venuta neppure lei. C’eravamo soltanto io e il mio mal di piedi.

Avevo mandato un messaggio a Jeremiah per dirgli che ero partita e stavo venendo a piedi, per cui ci avrei messo un po’. Di tanto in tanto dovevo fermarmi per sistemarmi le scarpe, che mi tagliavano i piedi sul dietro. Decisi che i tacchi erano stupidi.

A metà strada, lo vidi seduto sulla mia panchina preferita. Quando mi vide, si alzò. «Sorpresa!»

«Non c’era bisogno che mi venissi incontro» gli dissi, felice che lo avesse fatto. Mi sedetti sulla panchina.

«Sei sexy» mi disse.

Nonostante fossimo fidanzati da due anni, continuavo ad arrossire quando faceva commenti del genere. «Grazie» gli risposi. Indossavo un vestitino che avevo preso in prestito da Anika. Era bianco con dei fiorellini blu e le spalline rivestite di minuscole balze.

«Quel vestito mi ricorda Tutti insieme appassionatamente, ma in senso buono.»

«Grazie» ripetei. Mi domandai se il vestito mi facesse assomigliare a Fräulein Maria. Non mi sembrava una cosa positiva. Lisciai le balze delle spalline.

Una paio di ragazzi che non conoscevo si fermarono a salutare Jeremiah, ma io restai sulla panchina, per far riposare i piedi.

Quando se ne furono andati, Jeremiah mi chiese: «Sei pronta?».

Io gemetti. «I piedi mi fanno un male cane. I tacchi sono stupidi.»

Jeremiah si chinò e disse: «Salta su, ragazza».

Ridacchiando, gli saltai sulla schiena. Mi veniva sempre da ridere quando mi chiamava “ragazza”. Era più forte di me. Mi sembrava una cosa divertente.

Jeremiah mi sollevò e io gli misi le braccia attorno al collo. «Tuo padre verrà lunedì?» mi chiese mentre attraversavamo il prato.

«Sì. Ci darai una mano, vero?»

«Ehi, non esagerare. Ti sto già trasportando in giro per il campus. Devo anche aiutarti a traslocare?»

Lo colpii scherzosamente in testa e lui la abbassò. «D’accordo, d’accordo» rispose.

Poi gli feci una pernacchia sul collo e lui strillò come una ragazzina. A quel punto cominciai a ridere a crepapelle.

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

7 giugno 2022

ISBN

978-8817164825

Lingua

Italiano

Formato

Copertina Flessibile

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