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Game of chaos. Redenzione

Author: Hazel Riley

17,00

Lively non è uno studente di Yale come tutti gli altri. Cresciuto tra le regole spietate e i giochi crudeli della famiglia Lively, ha imparato che fidarsi di qualcuno può costare caro. Dopo gli eventi del labirinto, il pericolo torna a incombere quando, davanti alla porta della sua stanza, trova un misterioso dado rosso a sette facce, tante quante le spietate sfide ideate da Urano e Gea per punire lui e i suoi fratelli. A ogni fatica superata, oscuri segreti sul suo passato sono pronti a emergere, continue minacce che potrebbero cambiare il destino dell’intera famiglia. Il rischio è quello di fare del male a qualcuno a cui vuole bene, perché è questo lo scopo finale: trovare nuove pedine da sacrificare. Compresa Hell, l’enigmatica e affascinante vicina di stanza. La posta in gioco non è mai stata così alta, e mentre gli avversari si avvicinano, Ares dovrà decidere se fare di tutto per proteggere chi ama o lasciarsi consumare dal caos. Il confine tra distruzione e redenzione è sottile, ma nel mondo dei Lively ogni decisione ha un prezzo e l’unico modo per sopravvivere è vincere il gioco

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

22 Ottobre 2024

ISBN

978-8820077730

Lingua

Italiano

Formato

Copertina flessibile

COD: 10280 Categoria: Tag: Product ID: 22048

Descrizione

1

FACCIO I CONTI CON LE MIE PESSIME SCELTE

La parola «caos», che oggi ha assunto il significato di disordine, nella mitologia greca si riferiva a uno stato di assenza, di mancanza, di vuoto in relazione all’etimologia del termine. Caos è quindi il buio che precede la generazione del cosmo, lo stato da cui sono emersi gli uomini e gli dèi.

Ares

ESISTONO tre tipi di persone al mondo: quelle che trovano sempre le parole giuste, quelle a cui ogni tanto capita di sbagliare e quelle che non dicono mai la cosa giusta. Io appartengo a quest’ultima categoria.

D’accordo, forse mi sto dando troppo credito. Spesso non dico le parole giuste e le mie scelte hanno a volte esiti catastrofici.

Se mi si danno due opzioni, A e B, dove A è la cosa corretta da fare e B quella sbagliata, io riesco a inventarne una, C, che può rivelarsi peggiore di B.

«Si può sapere cosa ti è saltato in testa?» domanda per l’ennesima volta mio padre, Iperione.

Ha la sua solita espressione seria, quella che si stampa in faccia quando cerca di essere una figura paterna autoritaria. Non gli piace sgridarci.

Fingo di controllarmi le unghie della mano destra. «Non lo so. Avevo voglia di dare fuoco a Crono.»

Papà sbuffa. «Hai sentito anche tu il contenuto della lettera di Urano e Gea. Avresti potuto evitarlo.»

«Mi è scivolata la mano dentro la tasca, le dita hanno trovato i fiammiferi e…»

Mia madre Teia, accanto a me, sospira. Continua a farmi carezze sulla schiena, come se avessi bisogno di rassicurazione. «Quel che è fatto è fatto. Qualunque siano le conseguenze, ce la caveremo. Male che vada uccideremo anche Urano.»

Io e lei siamo così simili in tanti aspetti caratteriali che spesso mi domando com’è possibile che non sia la mia madre biologica.

Iperione la guarda come fosse impazzita. «Tu non conosci bene mio padre, Teia. Crono, a confronto, è un cucciolo di labrador.»

Dovrei aver paura di quello che ho scatenato, e invece non potrebbe fregarmene di meno. Sono un sopravvissuto, io. In un modo o nell’altro, me la cavo sempre. Supererò anche questo problema… facendo finta che non esista.

La porta della stanza si spalanca all’improvviso e Haven fa il suo ingresso. Si blocca sulla soglia e sgrana gli occhi quando si accorge che è in corso una riunione di famiglia. Io e Teia sul divano, Iperione appoggiato al muro, Hera e Poseidon per terra, Zeus dalla parte opposta della stanza.

Dionysus è nell’angolo cucina, sta trafficando con qualcosa.

«Cosa stai facendo?» gli chiedo.

Nys si volta. In una mano ha una tazza fumante e nell’altra una fiaschetta argentea. «Mi preparo una camomilla. E la correggo con un po’ di alcool.»

Iperione alza gli occhi al cielo ma non commenta.

Haven indietreggia. «Pensavo aveste finito qui. Posso tornare dopo.»

Picchietto la mano sul grembo, sorridendole.

«Che dici? Vieni qui. Siediti in braccio a me, Cohenquilina.»

Mio padre aggrotta la fronte e sposta l’attenzione da me ad Haven, più volte. «Lei non sta con mio nipote? Quello che ha un blog Tumblr e che chiamate “Diva”?»

Basta un’occhiata tra me e Haven per capire che ci sono io dietro questa descrizione di Hades.

«Sì, sto con Hades» calca sul nome «ma a tuo figlio piace provocarci e mettersi in mezzo facendo battute maleducate.»

«Purtroppo ne sono ben consapevole» dice Iperione, come se si stesse scusando per me.

«È decisamente mio figlio» si aggiunge Teia, per niente intenzionata a giustificarsi. Sollevo le mani in aria, in segno di difesa.

«Io ci ho provato a conquistarla, ma ha pessimi gusti. Pazienza.»

«Potete darle un po’ di tregua?» interviene Hera. Si volta verso Haven e le sorride. «Sei venuta qui per dire ad Ares qualcosa di importante o vuoi solo la tua camera? Nel caso, possiamo andar via. Tanto, la nostra riunione di famiglia è pressoché inutile.
Ares ha combinato un casino e non ci resta molto da fare se non aspettare il momento in cui Urano verrà a spaccargli la faccia.»

Non capisco perché siano tutti così pessimisti. Magari viene a stringermi la mano per dirmi: «Ben fatto, odiavo anche io quello squilibrato e mi sono stancato delle mele».

«In realtà volevo comunicare ad Ares che non saremo più coinquilini.»

Questo mi lascia a bocca aperta. Poi, arriva un nauseante senso di delusione.

«Aspetta, in che senso?»

«Andrò a stare con Athena» spiega. «E, se Hera lo vorrà, potrà venire con noi in una camera da tre.»

Mi sento tradito. Mi sento rifiutato. E, più di tutto, sono infastidito; perché Haven preferisce quella serpe di Athena Lively a me? D’altra parte, capisco il suo punto di vista. Crono ha permesso che ci venisse concesso di stare in stanza insieme, ora che è morto e lei e Hades sono praticamente una coppia sposata è parecchio inopportuno.

«E io con chi dovrei stare, allora?» chiedo, dopo un attimo di silenzio.

Zeus ha l’aria di uno che sta per sbattere la testa contro il muro. Vuole parlare di Urano e mostrarsi come il solito eroe che tira fuori piani e idee intelligenti per risolvere i miei casini. Di certo, non ha voglia di stare qui a bersi una camomilla con Nys mentre io e Teia facciamo comunella contro Iperione.

«Io e Zeus ci siamo già spostati con Dionysus in una tripla» mi informa Posy, mortificato. Nessuno osa guardarmi in faccia, quindi comincio a pensare al peggio.

«Chi è rimasto senza un coinquilino? Qualcuno abbia il coraggio di darmi la notizia.»

Hera si gratta il mento, fingendo indifferenza, e quando sembra che stia per parlare viene preceduta da Haven.

«Hermes… e Liam.»

Maledizione.

No, non loro.

Trattengo una smorfia. Dev’esserci un malinteso, o comunque una soluzione per risolvere il problema. Solo che… in effetti, non c’è. Rimarrebbero Hades e Apollo. Chi sarebbe meglio? Forse proprio Liam ed Hermes. Sì, sono quelli meno insopportabili.

«Verranno loro qui, vero? Sei tu che cambi stanza. Noi restiamo in questa?»

Haven sembra non capire. «Sì. Puoi restare tu qui.»

«Come mai ti interessa?» chiede Teia. Dio, dimenticavo che lei è come Haven.

«C’è qualcosa di speciale in questa camera?»

Ora anche Haven si è insospettita. E non ho il tempo di bloccare le sue accuse, perché sta già sorridendo.

«Oh. Non vuoi allontanarti dalla tua vicina. Hell.»

«Hell?» ripete Teia.

«Hell» confermo in un borbottio offeso. Non mi va che pensino che abbia una cotta per qualcuno. Soprattutto perché mia madre e Cohen sono delle ficcanaso patologiche.

«C’è un’altra ragazza e tu non me ne hai mai parlato?» esclama mia madre, in tono acuto. «Ares Cayden Lively!»

Prova ad afferrarmi, ma io mi libero dalla sua stretta e metto distanza tra i nostri corpi. Quanta me ne concede questo divano così piccolo, almeno.

«Smettila, mamma» protesto. «Non c’è nessuna. È solo la vicina di stanza, qui accanto. Mi diverto a darle fastidio, niente di serio.»

Teia continua a darmi gomitate sul fianco e a riempirmi di domande. Iperione la guarda, divertito, le pupille che potrebbero assumere la forma di due cuoricini. Sono patetici, ma è bello che si amino ancora e non siano due pazzi come Crono e Rea.

«Haven» Zeus la richiama e sovrasta tutti gli altri rumori. «Vai pure a prendere le tue cose. Non ti preoccupare per noi.»

Lei fa un cenno d’assenso e attraversa il piccolo salotto. Quando giunge accanto a Iperione, lui le afferra il polso gentilmente. «Come sta Newt? Tornerà?»

Gli occhi eterocromi di Haven si illuminano di commozione e inizia a sorridere a trentadue denti. «Si sta riprendendo, piano piano. Non so ancora quando potrà tornare qui a Yale, forse tra qualche mese, ma se la caverà.»

Meno male. È così palloso quel ragazzo. Cioè, sono felice che stia uscendo dallo stato vegetativo, ma direi che è un sollievo non averlo tra i piedi.

Sono passate due settimane da quando Haven è uscita dal labirinto. Ha ancora la fasciatura sul lato destro del viso, e io tento in ogni modo di ignorarla e far finta che non ci sia. Devo volerle davvero bene, perché non ho mai fatto una battuta sulla sua ferita. La verità è che aver appreso che le resterà la cicatrice come ad Hades mi ha spezzato il cuore. E non immagino come si senta lui. Colpevole, tanto per cominciare. Anche se, di fatto, non lo è. L’unico a cui darei la colpa è Crio. È per lui che Haven ha voluto fare quello stupido gioco del labirinto, per i debiti di un padre che ha provato a ucciderla e l’ha solo sfigurata a vita.
«Il viso?» prosegue Iperione.

Haven sposta il peso del corpo da un piede all’altro. «Domani pomeriggio andrò in ospedale per un controllo. Resterà il segno; i medici dicono che un intervento di chirurgia estetica potrebbe renderlo quasi impercettibile.»

«E tu lo vuoi fare? È sicuro?» si intromette Teia.

Haven fa vagare lo sguardo da mia madre a mio padre, così tante volte che inizia a fare tenerezza e sembrare stupida al tempo stesso. Non credo sia abituata a due figure genitoriali che si interessano della sua salute e di quella di Newt.

«Non credo che lo farò» mormora.

«Stai scherzando, Cohen?» mi scappa di bocca, con un impeto che non riesco a moderare.

Si stringe nelle spalle. «Ho sempre detto ad Hades di non vergognarsi della sua cicatrice, che ipocrita sarei se tentassi in ogni modo di cancellare la mia? Io non me ne vergogno.»

Ha senso. Eppure, mi sembra comunque un’enorme cazzata. Sono sicuro che Hades sarebbe il primo a dirle di fare quel maledetto intervento.

Iperione fa un cenno e la lascia andare. «Facci sapere se a te e Newt serve qualcosa. L’assicurazione per l’ospedale è già pagata.»

«Grazie.» Haven rivolge un sorriso caloroso sia a mio padre sia a mia madre, dopodiché sparisce e sento la porta della camera da letto chiudersi.

Giusto. Ora siamo ancora più ricchi di prima. O almeno dovremmo esserlo. Urano e Gea erano disposti a lasciare l’Olimpo a Teia, Iperione e Rea. Non so se siano ancora della stessa idea, dopo il piccolo falò che ho fatto in spiaggia. Per ora, sono passate due settimane e i nostri conti bancari sono ancora attivi.

Iperione controlla l’orologio che ha al polso e si stacca dal muro. «Beh, io e Teia andiamo. Non c’è molto altro da dire, come sottolineava prima Hera.»

Teia si mette in piedi e ne approfitta per scompigliarmi i capelli. Poi va a dare un bacio sulla fronte sia a Posy sia a Hera. Zeus, che è praticamente un mammone, non si fa baciare ma gliene dà uno lui. È sempre stato così.

Quando prova ad avvicinarsi a Dionysus, lui blocca il suo tentativo facendole un cenno con la mano e mandandole un bacio a distanza. Un gesto apparentemente freddo e distaccato, ma che io per primo riesco a comprendere. Sta facendo i conti con i sensi di colpa per aver voltato le spalle ai nostri genitori, scappando.

«Avvisateci se accade qualcosa di strano» ci raccomanda nostro padre, la maniglia della porta già abbassata e un piede oltre la soglia. «Qualsiasi cosa, Ares. Non sto esagerando o scherzando quando dico che Urano è un grosso problema.»

Teia ci manda un bacio volante prima di sparire dietro Iperione. I miei fratelli e mia sorella rimangono in silenzio per qualche secondo. Poi Zeus porge la mano a Hera e la aiuta ad alzarsi dal pavimento.

Dionysus è il primo che raggiunge la porta, lo richiamo con un fischio per ricordargli di non portarsi via la tazza. Lui la abbandona per terra, come se fosse perfettamente normale. Poseidon sembra l’unico sereno e rilassato, se ne va senza neanche salutare. Hera e Zeus esitano, sulla porta. Sbuffo. Eccoli qui, i sostituti di mamma e papà. I Lively più noiosi di tutta la famiglia.

«Oh, andiamo, non guardatemi in quel modo. Non è stato bello vedere la bara di nostro zio bruciare? Mi sono fatto anche un selfie, volete vederlo?» Sto già estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

«Ares» mi interrompe Zeus. Ha la mascella contratta. «Se Urano dovesse davvero venire a cercarti, combatterei per te a costo della vita. Ma se per un caso fortunato ne uscissimo vivi entrambi, mi assicurerò di prenderti a calci in culo per bene.»

Hera fa una smorfia che pare più un sorriso divertito. Mi lasciano solo, con il telefono in mano, a osservare il mio viso sorridente con dietro le fiamme dell’incendio appiccato.

Per la mezz’ora successiva osservo Cohen fare i bagagli, accompagnandola con qualche battuta inopportuna, in onore dei vecchi tempi. Lei mi dice che le mancherò, e io gongolo dentro di me, ma non riesco a risponderle. Non riesco a dirle a voce alta che lei, a me, mancherà di più.

La accompagno persino fino alla porta e seguo la sua figura diventare un puntino lontano nel corridoio.

Non so quanto tempo rimango lì fermo. Gli studenti di Yale mi passano davanti, squadrandomi di sfuggita. Forse si chiedono che razza di problemi io abbia.

In effetti, ne ho davvero tanti.

Alla fine, mi riscuoto e controllo l’orologio. Le 5 del pomeriggio. I miei nuovi compagni di stanza dovrebbero essere qui a momenti, è ora che mi prepari a vivere questa nuova realtà.

Lo sguardo mi cade sull’angolo sinistro della porta, una porzione in basso che è stata danneggiata. Mi inginocchio e ne sfioro la superficie con i polpastrelli. È un

sette, inciso con una lama, suppongo. Abbastanza piccolo da passare inosservato, ma grande a sufficienza affinché un occhio vicino lo noti. Strano. Forse c’è sempre stato e non me ne sono mai accorto? D’altronde, chi si ferma a guardare le porte? «Guarda un po’ chi è tornato.» Per lo spavento, scatto in avanti e sbatto la testa contro la porta. Emetto un verso di lamento e mi sollevo, massaggiandomi la parte colpita.

Mi fermo quando mi ritrovo davanti gli occhioni da cerbiatta di Hell.

Ha una felpa enorme addosso e dei leggings. I capelli corti sono legati in due codette alte, e una cascata di ciuffi castani le ricade sul collo.

«Dove sei sparito?» continua, vista la mia incapacità di rispondere.

«Mmm» rifletto un attimo. «Ero in Grecia. Problemi di famiglia.»

Aggrotta la fronte e so di aver acceso una scintilla di curiosità.

«Bella la Grecia, non ci sono mai stata. Mi piacerebbe tanto visitarla.» Ride. «Il tuo amico Liam mi ha dato un souvenir di Santorini, stamattina. È stato molto carino.»

Faccio una smorfia. «Non dargli troppa confidenza. Liam passa da molto carino a tremendamente inopportuno in pochissimo tempo.»

Si appoggia al muro del corridoio, quello che separa le porte delle nostre stanze. Io arretro d’istinto. Non voglio sentire il suo meraviglioso profumo di vaniglia.

«Stai bene? Mi sembri un po’ teso.»

Annuisco in fretta e mi guardo attorno. «Certo. Sì, tutto okay.»

Non ci crede, glielo leggo in faccia.

Muoviti, Ares, inventa una scusa, dirotta la conversazione.

«È che ho dato fuoco alla bara di mio zio e ora mio nonno potrebbe avercela con me. Del tipo che potrebbe proprio presentarsi qui e staccarmi la testa.»

Hell mi guarda a bocca aperta.

Okay, forse avrei dovuto parlare di altro. Non di questo. Alla fine, mi sorprende. Scoppia a ridere, con la testa gettata all’indietro e la mano che va a coprire il sorriso e i denti un poco storti dell’arcata inferiore.

«Non c’è nulla da ridere» la sgrido, fingendomi serio. «Mio zio è morto. Non mi fai le condoglianze?»

Lei smette ma continua a sorridere, mentre scuote il capo. «Sei proprio un tipo strano.»

Si volta per rientrare nella sua camera, e capisco che questo è il momento adatto.

«Ti va di vederci a cena in caffetteria, dopo?»

Me ne pento subito. Dio, perché l’ho fatto? Cazzo, cazzo, cazzo.

Hell si blocca, già con il piede mezzo sollevato da terra. «Perché?»

Che razza di domanda è «perché»? «Perché io devo cenare, tu devi cenare e tanto vale cenare insieme»? «Perché non hai ancora capito che sono fastidioso e devo approfittarne»? «Perché stasera ci sono le polpette al sugo»? Che diamine ne so, Hell?

«Perché…» comincio.

Il suo viso si illumina. Indica la sua camera. «Vuoi parlare di Hurricane?»

Esito. «Chi?»

«La mia coinquilina. Vi siete pure conosciuti. E le hai sbavato dietro come un cagnolino. Ricordi?»

Il viso della ragazza fa irruzione nella mia testa. La metto a fuoco in un lampo. Qualcosa, nelle mie mutande, si risveglia. Era molto carina. Più che carina, in realtà. La mano mi prude e d’improvviso non so più da che parte stare. Agisco d’istinto, e azzardo.

«No, in realtà non è per lei.»

Le gote di Hell si tingono di rosso quanto basta da non sfuggire al mio occhio attento. Abbassa il viso, come se volesse nascondersi dietro i capelli, anche se sono legati.

«D’accordo, va bene. Sì» balbetta.

«Alle 8, allora? Ti tengo il posto.» Le faccio l’occhiolino.

Dio, che stupido. Se potessi guardarmi da fuori, vomiterei. E poi mi prenderei a calci nelle gengive.

A Hell sembra piacere, perché sorride e mi saluta con un cenno della mano.


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