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La formula dell’attrazione

14,99

Venere in acquario? Luna nella terza casa? Rebecca Pennington non crede nelle stelle, ma ci lavora. È ingegnere aerospaziale, risolve il Cubo di Rubik in sette secondi e nella vita ha una sola certezza matematica: odierà in eterno Chase Reeve Goldsmith. Poco importa che lui sia l’uomo più sexy, ricco e intelligente che abbia mai conosciuto, sarà sempre il suo peggior nemico. E non solo: Rebecca si prenderà la sua rivincita, perché l’azienda in cui lavora sta per ottenere un contratto storico con la NASA, battendo il progetto di Chase. Tutto bellissimo. Peccato che l’accordo vada in fumo all’ultimo minuto. Per Chase Reeve Goldsmith il cielo non è un limite, ma il punto da cui guardare la Terra. A soli trentaquattro anni è arrivato in alto, in tutti i modi possibili. È il CEO dell’agenzia aerospaziale che si è appena aggiudicata il contratto con la NASA, è miliardario, è un genio irresistibile e – Dio, questo è meraviglioso – ha appena soffiato la vittoria da sotto il naso della sua peggior nemica: Rebecca Pennington. Sarà lui a spedire un razzo su Marte, non la ragazza che al liceo gli ha portato via tutto. Chase è convinto che sia finita così, ma non ha fatto i conti con Rebecca che, con un piano ben architettato, decide di farsi assumere dalla sua agenzia per riprendersi ciò che lui le ha rubato. Lavorare insieme non sarà facile… sarà un massacro! Chase è abituato a dare ordini e avere persone che li eseguono senza fiatare, peccato che Rebecca non si faccia comandare da nessuno. Lei ha intenzione di essere la sua spina nel fianco, lui di renderle la vita un inferno. Quando l’attrazione non è più solo una formula fisica, ma passione incontrollata… sarà amore o sarà una guerra stellare?

Informazioni aggiuntive

Editore

ISBN-13

979-8434828406

Data di pubblicazione

21 marzo 2022

Lingua

Italiano

Formato
Copertina flessibile

€ 14,99

COD: 9184 Categoria: Tag: , Product ID: 21221

Descrizione

Capitolo 1

Rebecca

 

Le sorprese inaspettate sono le migliori.

È un bene che questa frase sia stata scritta su Twitter da un ignoto utente. Se fosse conosciuto, sarebbe già morto. Per mano mia.

Quello che sta succedendo non ha senso e, se anche lo avesse, qualcuno avrebbe dovuto spiegarmelo prima.

A quest’ora sarei dovuta essere pronta per discutere l’iniziativa del programma spaziale Discovery Mars, in videoconferenza con i pezzi grossi della NASA: il direttore dell’Interstellar e il rispettivo team di ingegneri.

Ritirarmi nel bunker segreto di Pescadero Creek deve avere scombinato qualche strano equilibrio cosmico.

«Ehi, Anna dai capelli rossi, stai intralciando il passaggio.»

Ho parcheggiato la mia Toyota Prius di fronte al quartier generale dell’Interstellar, già pregustando la scalata al successo, dopo avere passato quindici giorni in una pensione a una stella.

È tutto quello che potevo permettermi con le mie scarse finanze.

Quando devo mettere a punto un progetto importante, mi allontano dal mondo. Non che nei momenti di calma io abbia chissà che vita sociale, sia chiaro, ma preferisco lavorare in solitudine per produrre il meglio. Non dico a nessuno dove vado, abolisco i social network e mi concentro sul compito. È così che sono riuscita a sistemare quei terribili imprevisti di un lander lunare, un paio di anni fa.

Qualcuno scuote una mano callosa di fronte ai miei occhi.

«Sposta l’auto, per favore. Dobbiamo portare fuori la roba.»

«La roba?»

Guardo oltre le sue spalle, dove si estende una lunga serie di moderni stabilimenti. Se la Silicon Valley fosse un corpo umano, Palo Alto sarebbe un organo fondamentale, tipo il cuore o un polmone.

Dall’ingresso principale dell’Interstellar stanno uscendo due tizi alle prese con una grossa scrivania. Mollo le chiavi della macchina all’uomo al mio fianco, che mi guarda sconcertato, e m’incammino a passo di marcia verso quella che da più di dieci anni è la mia seconda casa.

«Dove andate? Cosa… ehi, ma quello è il mio tavolo! Rimettetelo subito giù, non…»

Gli operai mi squadrano dalla testa ai piedi. Non basterà questo piccolo intoppo a distruggere il mio momento di gloria.

Afferro il cellulare aziendale, cerco il numero dell’ufficio di Art Hidalgo, il direttore del mio team, e faccio partire la chiamata.

Attenzione, il numero da lei chiamato è inesistente.

Cosa?

Uno degli operai mi passa accanto con uno scatolone tra le braccia. Sopra al ciarpame di cui è ricolmo, spicca il telefono rosso di Art. Il connettore penzola nel vuoto e sfiora l’asfalto.

Lascio scivolare il braccio lungo il fianco, senza nemmeno riattaccare, e mi dirigo all’interno dell’edificio. Qualcuno sta smontando l’insegna di plexiglas appesa sopra la reception, il pavimento è coperto di polvere e carta straccia.

Ho la sensazione di stare per ricevere uno schiaffo morale.

«Ma dove sono tutti?»

Una domanda e zero risposte.

Gli operai non sembrano avere l’aria di chi è stato ingaggiato per una Candid Camera. Si fanno i fatti loro, lavorano e fischiettano.

Chiamo Art sul numero privato, ma il cellulare risulta spento. Provo con i miei colleghi, uno dopo l’altro, e nessuno risponde, finché il mio telefono non smette di funzionare. Non c’è campo. La rete è scomparsa. Al posto delle solite quattro tacche, c’è un triangolo vuoto e la scritta nessun servizio.

La Prius mi aspetta con le chiavi abbandonate sul cruscotto.

Metto in moto e mi infilo nel traffico della Page Mill Road. Tamburello le dita sul volante, sulla scia di un semaforo che sembra non volerne sapere di diventare verde, e ragiono sul da farsi.

Devo tornare a casa, farmi prestare il cellulare della mia coinquilina Sandra, e chiamare subito Art.

«Giuro che non ci vado più, nel bunker. Lo giuro.»

Raggiungo Barron Park quando ormai mancano sessanta minuti esatti alla videoconferenza con la NASA.

Inchiodo davanti all’edificio dall’intonaco scrostato in cui vivo, che mi costa un sacco di soldi di affitto a dirla tutta, e appoggio il mento sul volante con uno scatto nervoso.

«Che diamine sta succedendo?»

Al centro del marciapiede ci sono tutte le mie cose accatastate in una pila scomposta.

Manco da due settimane e scopro di essere stata sbattuta fuori.

Letteralmente.

Ovunque.

Due operai stanno uscendo dalla porta principale con altri scatoloni, e io mi stupisco. Sì, mi stupisco: della mia tranquillità, del sangue freddo che dimostro di avere mentre osservo la mia vita andare a catafascio.

Sto avendo un crollo emotivo.

Sandra è in piedi e gesticola come una pazza nei confronti di un uomo di spalle. È Anakoglou, il padrone di casa, lo riconoscerei a chilometri di distanza.

Sbatto la portiera della Prius e, con l’aria più minacciosa che riesco a produrre, mi avvicino a loro. Non mi piace questa situazione.

«Ehi!»

Sandra alza le mani al cielo.

«Tu e il tuo vizio di sparire nel nulla!» grida.

La pacatezza non è mai stata il suo forte. Mi afferra per le spalle e mi scuote. «Sono giorni che provo a chiamarti, risponde sempre quella maledetta segreteria! Becky, diglielo tu che da domani lavorerai per la NASA e avremo il denaro per pagare…»

«Voglio i soldi dell’affitto. Tutti e adesso.»

La voce stridula di Anakoglou la costringe a interrompere la ramanzina. Mi volto di scatto e me lo ritrovo a un soffio dalla punta del naso. Ha la canotta bianca chiazzata di olio per motori, la pancia sporgente che deborda dai jeans e il viso più arrossato del solito, gli occhi porcini che mi guardano arrabbiati.

«Domani le darò tutti gli arretrati. Anticiperò anche i pagamenti futuri.»

«Questa è bella. È proprio bella!»

«È la verità, deve credermi.»

«Come l’eredità che stai aspettando dallo zio nigeriano?»

Sandra mi guarda in tralice. «Hai uno zio nigeriano? Davvero?»

La scocco un’occhiata perentoria. «Signor Anakoglou, non può buttarci fuori, non…»

Ammutolisco nel vedere che dalla porta di casa sono fuoriusciti due trasportatori con la mia scrivania.

È la stessa scena di poco fa all’Interstellar, è una maledetta congiura!

«Pennington, sono sei mesi che non vedo un centesimo e ho trovato nuovi inquilini disposti a pagare subito. Sono stanco delle tue scuse. Ora sparite, prima che chiami la polizia.»

«Non abbiamo un posto in cui andare!» Sandra, ancora in pigiama, gli si para di fronte. «Saremo costrette a dormire sull’asfalto.»

«Non è un problema, no? Domani la tua amica lavorerà per la NASA. Potrete permettervi una doppia allo Sheraton.»

Non aspetta nemmeno la nostra risposta. Si volta e ci molla lì, accanto a tutte le nostre cose. I miei vestiti infilati alla rinfusa in uno scatolone, i libri ficcati in una cassetta di legno, il computer abbandonato vicino a una busta ricolma di detersivi.

Okay, è da un po’ che non paghiamo l’affitto. La mia amica è sempre al verde e io spendo quasi tutto per la retta della clinica in cui è ricoverato mio padre. Mi restano pochi spicci per cibo e benzina.

Sandra siede su una valigia e fissa il vuoto. Credo che Anakoglou l’abbia buttata giù dal letto. Lavorare come cameriera in una discoteca non aiuta a essere mattinieri.

«Deve esserci una soluzione.» Prendo il naso tra pollice e indice. «Tutto ha una spiegazione scientifica. Nulla si crea, nulla si distrugge.»

«La spiegazione è che siamo in mezzo a una fottuta strada» farfuglia Sandra.

«Fammi pensare. Fammi ragionare.»

«Un momento: che ci fai tu qui? La videoconferenza? La NASA?»

«Quando sono arrivata all’Interstellar c’era una ditta di traslochi che stava portando via tutto.»

«Stai scherzando?»

«Sono sicura che ci sia una spiega…»

«Non c’è nessuna spiegazione scientifica!» La mia migliore amica mi cinge le spalle e mi scuote, neanche fossi un sacco di patate. «Oh, porca miseria. Sto per avere un attacco di panico.»

«Devo chiamare Art. Il mio telefono aziendale non funziona più.»

«E adesso? Cosa facciamo?»

Le rubo il cellulare dalle mani. «Non risponde.»

«Quand’è l’ultima volta che l’hai sentito?»

«Prima di partire per Pescadero Creek.»

«Non sarà mica morto, eh?»

«Art è immortale, credo. No, deve esserci una sp…»

Sandra pesta un piede a terra.

«E basta con queste cazzo di spiegazioni scientifiche, Rebecca!» sbotta, con troppa enfasi e fin troppi decibel. «Apri il baule della macchina, forza. Carichiamo le nostre cose e poi pensiamo a un modo per farti arrivare in tempo al colloquio.»

L’abitacolo si riempie di scatoloni in religioso silenzio. Nessuno fiata. La mia migliore amica è troppo scioccata per parlare e io sto ancora cercando una formula fisica per spiegare questa serie di sfortunati eventi. Forse aggiungendo la costante di Boltzmann all’equazione di stato dei gas perfetti…

«Questo Muro del Pianto è roba vostra?»

Un operaio posa la mia grossa lavagna magnetica sul cofano della Prius. È un’estensione della mia mente. Ci sono calcoli irrisolti, teoremi appena abbozzati, grafici vettoriali, fogli tenuti insieme da calamite, un piccolo poster dei Muse e fotografie di me da bambina, con papà e mia sorella Callie.

«Come facciamo a farla entrare in auto? Non ci sta.»

Sandra estrae un enorme sacco di plastica dalla valigia. «La infiliamo qui dentro e la assicuriamo al portapacchi.»

Mentre siamo sulla strada che porta a Santa Clara, la consapevolezza di essere in una specie di guaio non identificato inizia a infastidirmi.

Il portachiavi a forma di Marte ciondola appeso allo specchietto retrovisore. Stringo il volante e sposto lo sguardo su Sandra, che traffica col cellulare. So che non ha un posto dove andare, proprio come me.

Risolverò questa faccenda.

Cascasse pure un meteorite, ma io stasera avrò firmato il contratto della NASA.

***

«Hai sentito dei frammenti di meteorite ritrovati in Nevada?» Sandra volta il telefono e mi mostra le immagini sullo schermo. «È successo l’altro ieri.»

«Ero alla pensione.»

«Giusto.»

Un quarto d’ora dopo, Santa Clara ci accoglie con il traffico sostenuto e la tipica calura californiana. Scendiamo di fronte alla villetta di Art e la gente ci guarda in modo strano.

Sarà perché abbiamo l’auto piena di cianfrusaglie, io indosso un tailleur elegante e

Sandra un pigiama a orsetti?

«Art, so che ci sei!» Busso alla porta con tutta la forza che ho. «Prometto che non sparirò più. Hai tutto il diritto di essere offeso, ma devi dirmi cosa sta succedendo.»

«Sembra che non ci sia nessuno» mormora Sandra abbattuta.

Si siede sui gradini del portico e sblocca lo schermo del cellulare. «Intanto prenoto una camera al Granada Inn. Una stanza costa solo quindici bigliettoni, pago io.»

«Non finiremo a dormire in uno squallido motel.»

«Preferisci passare la notte nella Prius e fare la doccia nei bagni pubblici?»

«Avevo pianificato tutto.» Cammino avanti e indietro di fronte all’ingresso. «Ho sempre pianificato tutto. I miei calcoli erano…» La porta si apre all’improvviso. Alzo lo sguardo e Art è di fronte a me, con l’aria di chi ha fatto un giro in lavanderia ed è stato strizzato a dovere. I suoi capelli sale e pepe sono un groviglio. Porta la camicia stazzonata fuori dai pantaloni e non mi pare proprio pronto per una conferenza con la NASA.

Non è solo il direttore del mio team. È come un padre, per me.

Lancia un’occhiata alla macchina e sospira. «Se avessi risposto al telefono, sapresti già quello che è successo.»

«Ero nel bunker, come sempre. Parli del trasloco?» domando.

Lui lascia cadere le braccia lungo i fianchi. «Non è un trasloco.»

«Eh?»

«La NASA ha assegnato il contratto a un’azienda concorrente. L’Interstellar si trasferisce in Messico, nel Sinaloa.»

Per un istante mi si annebbia la vista. Spalanco le palpebre e metto a fuoco le fattezze di Art, chiedendomi se sia davvero lui o un suo surrogato. Ha voglia di scherzare?

«Impossibile.»

«C’è stato un cambio di rotta.»

«Cambio di rotta? Ho lavorato per anni a Discovery Mars! Non sono più semplici teorie. Ho risolto quelle maledette equazioni, ho progettato una nuova miscela propellente, posso essere la prima persona a gestire il lancio di un veicolo in grado di raggiungere…»

Art annuisce con piglio severo. «So quanto ti sei impegnata.»

«E allora? La NASA non se n’è accorta?»

«Te l’ho detto. Qualcuno si è infilato nell’accordo.»

Mi giro verso Sandra, incredula quanto me. «A proposito, lei è Sandra. Sandra, lui è Art Hidalgo.» Poi torno con lo sguardo su di lui. «Comunque non è possibile. Ti sbagli.

Nessuno può avere progettato un lanciatore efficiente come il nostro.»

«Lo so.» Art sembra privo di forze, come svuotato. «Ti conosco da quando eri una bambina, so quanto hai dato all’Interstellar.»

«C’è sotto qualcosa?»

«Becky!» Sandra scatta in piedi, gli occhi puntati sul display del cellulare, il viso pallido come uno straccio. «Oh, cavolo.»

«A quanto pare la notizia è già uscita.» Art si stringe nelle spalle.

La mia migliore amica volta il telefono verso di me. Ha aperto una notizia flash, da prima pagina, una di quelle che Google mostra in automatico. Impiego mezzo secondo per leggere il titolo, e un altro mezzo secondo per interiorizzare il senso di sconfitta. Mi si annebbia la vista.

“La NASA ha scelto EventHorizon per l’assegnazione del progetto Discovery Mars.” Non è tutto.

“L’accordo, che vale miliardi di dollari, prevede il lancio di una navicella spaziale alla ricerca di informazioni per colonizzare Marte. Un grande passo per l’umanità, per citare Neil Armstrong, e un grande passo anche per il CEO di EventHorizon.” Poi, quel nome. Seguito dalla sua foto.

L’uomo che odio con tutta me stessa. Che mi ha portato via ogni cosa, e ora anche questo.

Chase Reeve Goldsmith.

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