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La storia di Lisey

Author: Stephen King

18,00

«SEI STATA TU IL MIO MIRACOLO», DISSE SCOTT. «SEI STATA TU IL MIO CELESTIALE MIRACOLO. NON SOLO QUEL GIORNO, MA SEMPRE. TU SEI STATA QUELLA CHE HA TENUTO IL BUIO LONTANO, LISEY. TU SPLENDEVI.»

Lisey ha perso suo marito Scott da due anni, dopo un lungo matrimonio fatto di profonda – e a tratti inquietante – intimità. Scott era uno scrittore famoso, vincitore di premi letterari prestigiosi, ma era anche un uomo molto complicato. Solo Lisey, la moglie nell’ombra, conosceva la verità dietro quella facciata pubblica, solo lei sapeva che quei romanzi bestseller si basavano su una realtà spaventosa, nascevano da un luogo capace di terrorizzarlo e guarirlo, consumarlo e ispirarlo. Ora, assediata da fan ossessivi e predatori di manoscritti inediti, tocca a Lisey affrontare i demoni di Scott. E così, quello che inizia come il tentativo di una vedova di mettere ordine tra i ricordi, le carte e i cimeli del celebre marito diventa un viaggio fatale nell’oscurità che lo possedeva. Finché Lisey capirà che, proprio come Scott aveva bisogno della luce della moglie per restare in vita, lei dovrà fare appello alle tenebre di Scott per sopravvivere.

Considerato uno dei romanzi più personali di Stephen King, La storia di Lisey intreccia magistralmente la trama di un matrimonio, la tensione di un thriller e la dimensione di un mondo soprannaturale. Restituendoci una riflessione indimenticabile sulle sorgenti della creatività, la tentazione della follia e il linguaggio segreto dell’amore.
Un capolavoro che ora è diventato una serie TV scritta dallo stesso King, per la regia di Pablo Larraín, prodotta da J.J. Abrams e Warner Bros. Television, interpretata da Clive Owen e dal Premio Oscar Julianne Moore.

Informazioni aggiuntive

Editore

Data di pubblicazione

5 agosto 2014

ISBN

978-8820072094

Lingua

Italiano

Formato

Copertina flessibile

COD: 5908 Categoria: Tag: Product ID: 20755

Descrizione


Lisey e Amanda

(Tutto lo stesso)

1

     AGLI occhi del pubblico le mogli degli scrittori popolari sono quasi invisibili e nessuno lo sapeva meglio di Lisey Landon. Suo marito aveva vinto il Pulitzer e il National Book Award, ma Lisey aveva rilasciato una sola vera intervista in tutta la sua vita. Era stato per la nota rivista femminile che pubblica la rubrica «Sì, sono sposata con lui!» Aveva dedicato metà delle cinquecento parole dell’articolo a spiegare che il suo vezzeggiativo faceva rima con «Si-Si». Quasi tutto il resto riguardava la sua ricetta per il roastbeef a cottura lenta. Sua sorella Amanda aveva commentato che la fotografia allegata la faceva sembrare grassa.

Nessuna delle sorelle di Lisey era immune al piacere di lasciare il gatto in mezzo ai piccioni («rimestare nel torbido», avrebbe detto il loro padre), o farsi una bella spettegolata sui panni sporchi altrui, ma l’unica alla quale Lisey aveva avuto difficoltà ad affezionarsi era appunto Amanda. La più vecchia (e più eccentrica) delle ex sorelle Debusher di Lisbon Falls abitava ora da sola in una casa che le aveva messo a disposizione Lisey, una piccola costruzione a prova di intemperie non troppo lontana da Castle View, da dove Lisey, Darla e Cantata potevano tenerla d’occhio. Lisey gliel’aveva comprata sette anni prima, cinque prima della morte di Scott. Morte precoce. Morte prematura, come si dice. Lisey faticava ancora a credere che se ne fosse andato da due anni. Le sembrava insieme un tempo più lungo e un batter di ciglia.

Quando finalmente si decise a dare inizio a una ripulita del suo studio, una lunga serie di locali splendidamente illuminati che non erano stati altro che il rustico fienile sovrastante una stalla, era comparsa Amanda. Era il terzo giorno di pulizie e Lisey aveva finito l’inventario di tutte le edizioni estere (ce n’erano centinaia), ma aveva solo appena cominciato a compilare la lista dei mobili, con una stellina accanto a quelli che pensava di dover conservare. Aspettò che Amanda le chiedesse perché la tirasse così per le lunghe, santa pace, ma lei non le fece domande. Mentre Lisey passava dalla spunta dei mobili a uno svogliato, lentissimo esame dei cartoni pieni di corrispondenza impilati nel ripostiglio principale, l’attenzione di Amanda rimase concentrata sull’impressionante collezione di cimeli che occupava tutta la parete sud dello studio. Camminò su e giù, passando in rassegna l’interminabile raccolta e prendendo nota su un quadernetto che teneva sempre a portata di mano.

Quello che Lisey non disse fu Che cosa stai cercando? Oppure Che cosa stai scrivendo? Come Scott aveva notato in più di un’occasione, Lisey possedeva una virtù umana che doveva essere tra le più rare: badava ai fatti suoi senza prendersela troppo se gli altri non badavano ai propri. Posto che questi ultimi non consistessero nel confezionare bombe da tirare addosso a qualcuno, naturalmente, e nel caso di Amanda le bombe non potevano mai essere escluse. Era il tipo di donna che non poteva fare a meno di impicciarsi, il tipo di donna che avrebbe inevitabilmente detto la sua, prima o poi.

Nel 1985 il marito di Amanda aveva preso il volo, lasciando Rumford, dov’erano vissuti fino ad allora («come una coppia di ghiottoni intrappolati in un condotto di scarico», aveva sentenziato Scott dopo una visita pomeridiana che aveva giurato di non ripetere). Nel 1989 la sua unica figlia, che si chiamava Intermezzo e tutti chiamavano per brevità Metzie, era  emigrata in Canada (con un camionista da lunghe tratte per fidanzato). «Una scappò in su, una scappò in giù, una parlava tanto da non poterne più.» Questa era la filastrocca che recitava il loro padre quand’erano bambine, e delle figlie di Dandy Dave Debusher quella che parlava tanto da non poterne più era senz’altro Manda, mollata prima dal marito e poi dalla figlia.

Per quanto sgradevole riuscisse a essere certe volte, Lisey non aveva voluto che restasse da sola a Rumford; a volerla dire tutta, non si fidava a lasciarla sola e sebbene nessuna l’avesse mai detto a chiare lettere, era sicura che Darla e Cantata la pensassero come lei. Così ne aveva discusso con Scott e aveva trovato la piccola Cape Cod che veniva via per novantasettemila dollari in contanti, sull’unghia. Poco dopo Amanda si era trasferita in zona sorveglianza. Ora Scott era morto e Lisey si era finalmente rimboccata le maniche e aveva affrontato il suo studio da scrittore. A metà del quarto giorno le edizioni estere erano state imballate, i carteggi erano stati esaminati e bene o male catalogati e Lisey si era fatta un’idea più che approssimativa di quali mobili dovessero rimanere e quali no. Allora perché quella sensazione di aver fatto così poco? Aveva sempre saputo che non era un’operazione da poter sbrigare subito, a dispetto delle numerose lettere e telefonate con cui era stata importunata dopo la scomparsa di Scott (per non dire delle visite). Alla lunga le persone interessate al materiale inedito avrebbero avuto ciò che volevano, ma non prima che lei fosse stata pronta a cederlo. Su questo punto non erano stati subito espliciti, non avevano messo le carte in tavola, come si suol dire. Ora la maggior parte di loro l’aveva fatto. C’erano molte definizioni per il materiale che Scott aveva lasciato. L’unica che capiva completamente era memorabilia, ma ce n’era un’altra, buffa, che somigliava a incuncabilia. Era il materiale che volevano gli impazienti, i lusingatori e gli arrabbiati: gli incuncabilia di Scott. Per Lisey gli assedianti erano diventati gli Incunk.

 

2

Il suo sentimento predominante, specie dopo l’arrivo di Amanda, era scoraggiamento, come se avesse sottovalutato l’impresa in sé o avesse sopravvalutato (ampiamente) la propria capacità di condurla alla sua inevitabile conclusione: i mobili da conservare immagazzinati nella sottostante ex stalla, i tappeti arrotolati e sigillati, il furgone giallo della Ryder nel vialetto a disegnare la sua ombra sullo steccato tra il suo giardino e quello dei Galloway.

Oh, e non scordare il triste cuore dello studio, i tre computer da tavolo (ce n’erano stati quattro, ma quello del cantuccio della memoria non c’era più, grazie a lei stessa). Erano uno più recente e più leggero dell’altro, ma anche l’ultimo arrivato era comunque un modello ingombrante e funzionavano tutti. Erano anche protetti da password che lei non conosceva. Non gliele aveva mai chieste e non aveva idea di quale elettrospazzatura potesse dormire nei dischi rigidi. Liste della spesa? Poesie? Pornografia? Sapeva che si collegava a Internet, ma non che siti visitasse quando ci entrava. Amazon? Drudge? La leggenda di Hank Williams? Le piogge dorate di Madame Cruella e Tower of Power? Era propensa a escludere quest’ultima ipotesi, a pensare che avrebbe trovato gli addebiti (o almeno degli ammanchi nel conto riservato alle spese domestiche mensili), ma sapeva che era un’idiozia. Se Scott avesse voluto nasconderle mille dollari al mese, avrebbe potuto farlo facilmente. E le password? La cosa ridicola era che avrebbe potuto benissimo confidargliele. Era il genere di nozioni che lei dimenticava subito. Si ripromise di provare a digitare il proprio nome. Magari dopo che Amanda si fosse tolta di torno, cosa che non sembrava dover accadere presto.

Lisey si appoggiò allo schienale e si soffiò via i capelli dalla fronte. Di questo passo non arriverò ai manoscritti prima di luglio, pensò. Gli Incunk darebbero fuori di matto se sapessero con che lentezza procedo. Specialmente l’ultimo.

L’ultimo – cinque mesi prima, era stato – era riuscito a non esplodere, mantenendo anzi un tono molto civile, al punto che lei aveva cominciato a pensare che potesse essere diverso. Lisey gli aveva detto che nessuno metteva piede nello studio di Scott da ormai un anno e mezzo, ma che aveva quasi trovato le energie e lo spirito necessari a salirci e cominciare a ripulire e rassettare i locali.

A farle visita era stato il professor Joseph Woodbody del dipartimento d’Inglese dell’Università di Pittsburgh. La Pitt era l’alma mater di Scott e il corso di Woodbody su Scott Landon e il mito americano era molto rinomato e molto frequentato. Quell’anno quattro dei suoi studenti stavano preparando tesi su Scott Landon, di conseguenza era probabilmente inevitabile che emergesse il guerriero Incunk quando Lisey si era espressa in termini assai vaghi come più prima che poi e quasi certamente questa estate. Ma era stato solo quando gli aveva assicurato che gli avrebbe dato un colpo di telefono «appena il polverone si sarà posato» che Woodbody era partito lancia in resta.

Aveva dichiarato che l’aver condiviso il letto di un grande scrittore americano non la legittimava ad agire come suo esecutore letterario. Quello era lavoro da esperti e non gli risultava che la signora Landon avesse una laurea. Le aveva rammentato quanti anni erano già passati dalla morte di Scott Landon e le voci che si andavano moltiplicando. Si riteneva che esistesse una grande quantità di materiale inedito, racconti e anche romanzi. Non poteva lasciarlo entrare nello studio anche solo per poco? Consentirgli di dare un’occhiata agli archivi e nei cassetti, anche solo per mettere a tacere le insinuazioni più esagerate? Lei sarebbe stata costantemente presente, andava da sé.

«No», gli aveva risposto accompagnandolo alla porta. «In questo momento non sono pronta.» Passando sopra ai colpi più bassi del professore – o almeno sforzandosi di farlo – perché era evidentemente matto come gli altri. L’aveva solo nascosto meglio e un po’ più a lungo. «E quando lo sarò, voglio controllare tutto quello che c’è, non solo i manoscritti.»

«Ma…»

Lei, serissima, aveva annuito. «Tutto lo stesso.»

«Non capisco che cosa intende.»

Naturale che non capisse. Era lessico coniugale. Quante volte Scott aveva fatto allegramente ritorno a casa gridando: «Ehi, Lisey, sono arrivato… Tutto lo stesso?» Intendendo tutto bene, tutto a posto. Ma come tutte le frasi in codice (Scott glielo aveva spiegato, ma lei già lo sapeva) conteneva un sottinteso. Un uomo come Woodbody non avrebbe mai afferrato il sottinteso di tutto lo stesso. Avrebbe potuto star lì tutto il giorno a spiegarglielo e ancora non avrebbe capito. Perché? Perché lui era un Incunk e quando si trattava di Scott agli Incunk interessava una cosa sola.

«Non fa niente», aveva risposto al professor Woodbody quel giorno di cinque mesi prima. «Avrebbe capito Scott.»

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