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La chiamata dei tre. La torre nera (Vol. 2)

11,90

Informazioni aggiuntive

Autore

Editore

Data di pubblicazione

13 giugno 2017

ISBN-13

978-8868363673

Lingua

Formato

Copertina flessibile

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COD: 7672 Categoria: Tag: Product ID: 20633

Descrizione


1

La porta

1

Tre. Questo è il numero del tuo fato. Tre?

Sì, tre è il numero mistico. Tre sta nel cuore della tua ricerca.

Quale tre?

Il primo è giovane, bruno di capelli. È sul ciglio di rapine e delitti. Lo ha infestato un demone. Il nome del suo demone è EROINA.

Di che demone si tratta? Io non lo conosco, né l’ho mai sentito, nemmeno nelle lezioni del mio tutore.

Cercò di parlare ma aveva perso la voce, la voce dell’Oracolo, Troia delle Stelle, Puttana dei Venti, anche quella si era spenta; vide una carta da gioco scendere svolazzando dal nulla verso il nulla, girando e rigirando nella tenebra pigra. Su di essa un babbuino ghignava appollaiato sulla spalla di un giovane bruno; aveva affondato con tanta forza le dita troppo umane nel collo del giovane che le punte erano scomparse nella sua carne. Guardando più attentamente il pistolero notò che il babbuino impugnava una frusta con una di quelle mani contratte e strangolanti. I lineamenti dell’uomo cavalcato erano scomposti in un’espressione di smisurato terrore.

Il Prigioniero, mormorò in tono quasi confidenziale l’uomo in nero (che si chiamava Walter e un tempo aveva meritato la fiducia del pistolero). Dà un po’ i brividi, vero? Un po’ i brividi… un po’ i brividi… un po’…

2

L’ultimo cavaliere si svegliò di scatto agitando freneticamente nell’aria la mano mutilata, sicuro che da un momento all’altro gli sarebbe piombato addosso uno di quei mostri corazzati del Mare Occidentale soffiandogli addosso i suoi disperati e incomprensibili interrogativi mentre gli staccava la faccia dal cranio.

Invece un uccello marino, che era stato attirato dallo scintillio del sole mattutino sui bottoni della sua camicia, virò nell’aria con uno starnazzo impaurito.

Roland si alzò a sedere.

Un dolore lancinante e infinito gli pulsava nella mano. Ugualmente gli doleva il piede destro. Dita e alluce non smettevano di proclamare la loro presenza. Non aveva più la fascia inferiore della camicia, che somigliava ora a una maglia con l’orlo sfilacciato: ne aveva usato un pezzo per bendarsi la mano e un altro per bendarsi il piede.

Andatevene, intimò alle parti mancanti al suo corpo. Ormai siete fantasmi. Andatevene.

A qualcosa servì. Non a molto, ma a qualcosa servì. Erano fantasmi, questo sì, ma assai vividi.

Mangiò carne secca. La sua bocca ne aveva scarso desiderio, il suo stomaco ancor meno, ma se lo impose. Quando ebbe finito, si sentì un po’ più forte. Ma non gli restava molto, era quasi allo stremo.

E tuttavia c’erano delle cose da fare.

Si alzò in piedi in equilibrio instabile e si guardò intorno. C’erano uccelli che si tuffavano in picchiata, ma il mondo apparteneva solo a lui e a loro. Le mostruosità erano scomparse, forse perché erano esseri notturni, forse perché erano sudditi delle maree. Al momento gli era indifferente.

Il mare era enorme, incontrava l’orizzonte in un punto di azzurro nebbioso impossibile a determinarsi. Rapito in contemplazione, per un lungo momento il pistolero dimenticò il suo dolore. Non aveva mai visto acque così sconfinate. Ne aveva sentito raccontare nelle storie infantili, naturalmente, e i suoi insegnanti – alcuni di loro, almeno – gli avevano assicurato che esistevano, ma trovarsi al cospetto di una tale immensità, di una simile profusione di acqua dopo tanti anni di aride terre, gli era difficile da accettare… difficile persino da vedere.

Osservò a lungo la distesa, incantato, obbligandosi a vederla, scordando temporaneamente il suo dolore stemperato nella meraviglia.

Ma era mattino e c’era ancora molto da fare.

Cercò la mandibola nella tasca posteriore, attento a tastarla con il palmo della mano destra per evitare che fossero i moncherini delle dita a incontrarla se ancora era al suo posto, trasformando così l’incessante singhiozzare dell’arto in urla straziate.

C’era.

Bene.

Passiamo oltre.

Goffamente si slacciò i cinturoni e li posò su uno scoglio assolato. Sfilò le pistole, rovesciò i tamburi e ne fece cader fuori le cartucce inservibili. Le gettò via. Un uccello fu richiamato dal lampo di luce lanciato da una delle pallottole, la raccolse nel becco, la lasciò cadere e volò via.

Le pistole avevano bisogno di manutenzione e già da un pezzo avrebbe dovuto occuparsene, ma poiché nessun’arma da fuoco in questo o in qualunque altro mondo vale più di una mazza se è priva di munizioni, per prima cosa si sistemò in grembo i cinturoni e lentamente fece scorrere la mano sinistra sulle strisce di cuoio.

Entrambi erano bagnati dalla fibbia fino al punto in cui gli passavano sulle anche, dove sembrava che fossero rimasti asciutti. Estrasse dunque tutte le cartucce dai tratti di cinturone ancora asciutti. La sua mano destra continuava a intromettersi volendo svolgere il lavoro e dimenticando, nonostante il dolore, di essere stata ridimensionata, così ripetutamente il pistolero si ritrovò a riabbassarsela sul ginocchio, come respingendo un cane troppo stupido o renitente. Distratto com’era, per poco non se la schiaffeggiò con l’altra mano, una o due volte. Prevedo seri problemi, pensò di nuovo.

Radunò tutte le cartucce che sperava fossero ancora buone in un cumulo che risultò scoraggiante per la sua esiguità. Venti proiettili. Dei quali alcuni certamente avrebbero fatto cilecca. Non poteva fare affidamento sicuro su nessuno di loro. Sfilò gli altri e ne fece un altro cumulo. Trentasette.

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